lunedì 22 ottobre 2018

A proposito di queste agenzie americane di rating che stanno cercando di rendere più pesante il fardello del nostro paese nel percorso per tentare di uscire da 10 anni di austerità, CHE CI HANNO STRANGOLATO....

A proposito delle agenzie americane di rating, tanto ossannate su Corriere della Sera e La Repubblica....

Bond, il clan dei rating colpisce ancora: titoli tossici classificati Tripla A


Domanda da un miliardo e mezzo di dollari: è possibile dare un rating senza accorgersi che il bond è di una mucca e non di un banchiere? È quanto si è chiesta la Sec dopo la scoperta nei server di Standard & Poor’s di un messaggio un po’ strano: «I nostri modelli di analisi non riescono a catturare la metà dei rischi di un derivato sui mutui: se ci chiedessero di valutare un bond strutturato da una mucca, daremmo un rating anche a quello».
Ecco com’è finita: dopo tre anni di infruttuosa battaglia giudiziaria, quel messaggio ha convinto il colosso dei rating a chiudere in gran fretta e con un patteggiamento record da 1,3 miliardi di dollari l’inchiesta federale sulle manipolazioni dei rating nella crisi dei mutui. E questo, dopo aver già patteggiato poco prima un’altra sanzione da 150 milioni di dollari per chiudere un altro filone di inchiesta sulle “valutazioni allegre” dei derivati immobiliari.

Banche e scandali, 400 miliardi di dollari di multe in due anni
In totale, dopo aver rifiutato qualunque ipotesi di accordo per oltre tre anni, la prima agenzia di rating del mondo ha saldato quindi con un assegno da un miliardo e mezzo di dollari buona parte delle battaglie legali sul decennio degli scandali e non solo negli Stati Uniti. In India, per esempio, il governo è stato appena costretto a nazionalizzare la IF&LS (si veda articolo in basso), una «banca ombra» che le agenzie di rating consideravano «tripla A», cioè il massimo della sicurezza: in realtà, annaspava tra i debiti da più di un anno. Solo il 7 agosto, quando il default è diventato chiaro a tutti, l’agenzia di rating Icra l’ha declassata a doppia A, appena al di sotto del voto più alto della scala. A fine ottobre, la bancarotta è stata ufficializzata, ma il rating non era cambiato. Casi analoghi in Cina e in Russia: alla Dagong, la più grande agenzia di rating cinese, è stato vietato dal governo di prendere nuovi clienti per almeno un anno, oltre al divieto di emettere valutazioni sui derivati fino a nuovo ordine.
E solo lunedì 15 ottobre, è scoppiato il caso della Xinjiang Production and Construction Corps, una banca ombra cinese arrivata al con un rating (da poco tagliato) doppia A dell’agenzia Shanghai Brilliance Credit Rating & Investors Service Co: anche in questo caso sono scattate le contromisure del governo. E questi sono due esempi tra i tanti. Dall’America all’Europa, dalla Russia alla Cina, una miriade di sanzioni, risarcimenti e nuove inchieste hanno riportato alla luce gli stessi problemi di dieci anni fa: governance inconsistente, controlli interni inadeguati, conflitti di interesse e modelli di analisi dei derivati di cui nessuno riesce a capire logica e funzionamento. Compreso chi fa i rating: come Moody’s, per esempio.

Banche, crisi e “Dottrina Holder”: perché a pagare sono azionisti e clienti
La seconda agenzia del mondo per quota di mercato è stata costretta a patteggiare 60 giorni fa una multa di oltre 15 milioni di dollari per violazioni sulle procedure di calcolo che applica regolarmente su alcune classi di bond: in 54 casi non è neppure riuscita a spiegare per quale motivo i rating assegnati fossero materialmente diversi dai risultati impliciti previsti dai modelli di valutazione utilizzati per i derivati. Se si pensa che solo in Europa circolano derivati che hanno un valore nozionale di oltre 660mila miliardi di euro, il problema non è di poco conto. E tenerlo presente è importante anche in vista del probabile scontro in arrivo tra il governo italiano e le agenzie di rating: Moody’s deciderà infatti entro il 26 ottobre se declassare il debito sovrano, aprendo la strada alle altre due grandi concorrenti. 
Anche per questa ragione - e non certo per vendetta - Il Sole 24 Ore ha messo sotto osservazione il divario tra gli impegni presi formalmente dalle «Big Three» nei loro patteggiamenti con la realtà dei fatti e l’opinione del mercato. Il risultato è preoccupante.

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