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Se gli esisti della crisi tedesca sono quanto mai incerti,
molto più decifrabili risultano essere le cause che l'hanno determinata. In
tutti questi anni il sogno tedesco è stato quello del riscatto. La ricerca di
una supremazia economica e finanziaria, come succedano all'impossibilità di
esercitare una propria egemonia sul piano politico. Impedita dal ricordo della
guerra e dai disastri compiuti durante l'intero '900. Con la Francia e
l'Inghilterra, in questo sostenuti dalla stessa Amministrazione americana,
pronti a intervenire per combattere l'insorgenza di un ogni rigurgito
revanscista.
Una Germania divisa era la migliore garanzia dello status - quo.
Al punto che i vari tentativi di ostpolitik, portata avanti fin dai tempi di
Willy Brandt, furono sempre accolti con una grande freddezza. Valga per tutti
la celebre frase di Giulio Andreotti, al momento dell'unificazione: "Amo
talmente la Germania che ne preferivo due".
La supremazia economica e finanziaria tedesca è stata anche
la conseguenza di questo impasse. Basti pensare ai risparmi conseguiti nelle
spese militari che, solo oggi, dopo i ripetuti interventi di Donald Trump,
tendono ad aumentare, per sgravare gli Stati Uniti dai costi eccessivi
sostenuti nei confronti della Nato.
Ma qual è la differenza tra supremazia ed
egemonia? Nel primo caso l'azione politica è rivolta in modo prevalente a
difendere gli interessi immediati di una Nazione. Nel secondo caso, l'egemonia
è esercizio della leadership.
Implica in altri termini, come teorizzato da
Kindleberger e non solo, vantaggi e oneri. La Germania ha goduto dei primi,
mentre è stata sempre restia a farsi carico degli oneri relativi.
La
conseguenza è stata quella di abbandonare l'Europa a se stessa. Senza una
direzione politica effettiva, in grado di produrre regole, che ne garantissero
il funzionamento al di là di un'imprevedibile congiuntura.
Il doppio sorteggio, che ha portato alla scelta di Amsterdam
e di Parigi, quale sede dell'Ema (agenzia del farmaco) e dell'Eba (autorità
bancaria), ne sono la dimostrazione.
Nessun disegno razionale alla base di
queste scelte, ma solo il piccolo suk dei reciproci vantaggi in una contesa tra
i diversi Stati desiderosi di potersi aggiudicare un minimo vantaggio
economico.
Può un'Europa, che abbia queste caratteristiche, competere con le
altre grandi aree economiche del Globo: dalla Russia di Putin, alla Cina di Xi
Jinping o agli altri paesi che rappresentato i Brics? Ma soprattutto come è
stato possibile raggiungere questo livello di atrofia?
Ed ecco allora che gli errori tedeschi, quale principale
potenza economica europea, tornano al pettine. E sono errori che hanno una
valenza internazionale, ma soprattutto interna.
Malcom X, il leader
rivoluzionario degli afroamericani, era solito dire che le prime vittime
dell'americanismo erano gli uomini della pelle nera.
Lo stesso paradigma può
essere applicato ai tedeschi. Sono loro le prime vittime di un modello di
sviluppo economico che ha puntato tutto sulla potenza finanziaria, guidata dal
traino delle esportazioni, senza ricevere in cambio un compenso adeguato. Il
loro reddito pro-capite è, indubbiamente, il più alto dell'Eurozona, ma va
commisurato a un attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti
che, da anni, è un multiplo del tasso di sviluppo complessivo dell'economia. Il
che significa una compressione dei livelli di benessere individuali rispetto al
relativo potenziale.
In altre circostanze una simile situazione avrebbe dato
luogo a intense lotte sociali, per ripartire in modo più equo il risultato
della produzione complessiva. Avrebbe comportato aumenti salariali: come
recentemente invocato dallo stesso Mario Draghi. Un welfare più attento alle
situazioni di bisogno, specie in determinati territori. Una lotta più decisa
contro i livelli di povertà, che rappresentano la contraddizione più stridente
in un paese che destina ingenti risorse alla pura e semplice esportazione di
capitali.
Per garantirsi i quali comprime, in modo sistematico, il mercato
interno e, quindi, le ulteriori possibilità di sviluppo. Secondo le valutazioni
del Fmi, nel 2016, il surplus delle partite correnti della bilancia dei
pagamenti in Germania è stata pari all'8,1 per cento del Pil, contro l'1,7 per
cento della Cina e lo 0,8 delle Economie avanzate.
Questa politica ha finito per creare un malcontento diffuso,
appena velato dal continuo richiamo alla necessità della stabilità finanziaria.
Una sorta d'ideologia all'insegna della falsa coscienza.
Contenere il deficit
di bilancio ha senso in una congiuntura surriscaldata. Diventa un macigno se
l'economia cresce al di sotto del suo potenziale produttivo, per effetto di una
vocazione deflazionistica.
Con riflessi negativi sull'intera Eurozona, che è
risultata prigioniera di un tasso di cambio dell'euro, nei confronti delle
altre valute, eccessivamente elevato. Ed al quale la Germania ha dato un
contributo determinate, considerato che quell'attivo è pari a circa il 75 per
cento del surplus complessivo dell'intera Eurozona.
Sono stati questi squilibri strutturali che hanno costretto
Mario Draghi a ricorrere al quantitative easing, nella speranza di far crescere
il tasso d'inflazione, pompando liquidità nel sistema europeo.
Un'arma
tutt'altro che risolutiva, come da lui stesso più volte indicato. L'effetto è
stato quello di comprimere al massimo i rendimenti di capitale e quindi
estendere il malcontento a quei settori della società tedesca che dovevano il
loro benessere relativo ai risparmi accumulati e da allora sottoposti a un
rendimento negativo.
Si spiegano così i risultati elettoriali. Da una parte i
liberali che vorrebbero porre fine al regno del banchiere italiano. Dall'altro
l'Alternative für Deutschlandche ha eroso le basi di consenso di quello che,
una volta, era l'elettorato dei socialdemocratici dell'Spd.
La cui
responsabilità è stata quella di non aver avuto la forza di comprendere e
contestare in radice le caratteristiche di un modello di sviluppo che finiva
per colpire, innanzitutto, la grande massa dei lavoratori tedeschi.
(SI NOTI: E' ESATTAMENTE QUEL CHE E' SUCCESSO ANCHE IN ITALIA, CON LA POLITICA DI MATTEO RENZI E DEL PD DI SELVAGGIA PRECARIZZAZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO !!!)
Uscire da questo ginepraio non sarà facile. E forse non
basterà neppure l'appello del presidente Frank-Walter Steinmeier. Le fratture
sociali, che si sono determinate, impediscono ogni ricomposizione dell'attività
di governo. Almeno fin quando non sarà chiaro in che modo andare avanti nella
conservazione o nel superamento di un modello di sviluppo giunto al suo
capolinea.
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