lunedì 4 dicembre 2017

Alle origini dell'attuale crisi ed incertezza politica in Germania: le radici strutturali della crisi tedesca, dallo Huffington Post, da NON perdere ! Spiega PERCHE' le politiche di sviluppo economico della Germania stanno DISTRUGGENDO l'Europa, ed hanno avuto profondi effetti e costituiscono un modello deteriore per tanti altri paesi, come il nostro !



 LINK: http://www.huffingtonpost.it/gianfranco-polillo/le-radici-strutturali-della-crisi-tedesca_a_23285609/
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Se gli esisti della crisi tedesca sono quanto mai incerti, molto più decifrabili risultano essere le cause che l'hanno determinata. In tutti questi anni il sogno tedesco è stato quello del riscatto. La ricerca di una supremazia economica e finanziaria, come succedano all'impossibilità di esercitare una propria egemonia sul piano politico. Impedita dal ricordo della guerra e dai disastri compiuti durante l'intero '900. Con la Francia e l'Inghilterra, in questo sostenuti dalla stessa Amministrazione americana, pronti a intervenire per combattere l'insorgenza di un ogni rigurgito revanscista. 
Una Germania divisa era la migliore garanzia dello status - quo. Al punto che i vari tentativi di ostpolitik, portata avanti fin dai tempi di Willy Brandt, furono sempre accolti con una grande freddezza. Valga per tutti la celebre frase di Giulio Andreotti, al momento dell'unificazione: "Amo talmente la Germania che ne preferivo due".

La supremazia economica e finanziaria tedesca è stata anche la conseguenza di questo impasse. Basti pensare ai risparmi conseguiti nelle spese militari che, solo oggi, dopo i ripetuti interventi di Donald Trump, tendono ad aumentare, per sgravare gli Stati Uniti dai costi eccessivi sostenuti nei confronti della Nato.
Ma qual è la differenza tra supremazia ed egemonia? Nel primo caso l'azione politica è rivolta in modo prevalente a difendere gli interessi immediati di una Nazione. Nel secondo caso, l'egemonia è esercizio della leadership. 
Implica in altri termini, come teorizzato da Kindleberger e non solo, vantaggi e oneri. La Germania ha goduto dei primi, mentre è stata sempre restia a farsi carico degli oneri relativi. 
La conseguenza è stata quella di abbandonare l'Europa a se stessa. Senza una direzione politica effettiva, in grado di produrre regole, che ne garantissero il funzionamento al di là di un'imprevedibile congiuntura.
Il doppio sorteggio, che ha portato alla scelta di Amsterdam e di Parigi, quale sede dell'Ema (agenzia del farmaco) e dell'Eba (autorità bancaria), ne sono la dimostrazione. 
Nessun disegno razionale alla base di queste scelte, ma solo il piccolo suk dei reciproci vantaggi in una contesa tra i diversi Stati desiderosi di potersi aggiudicare un minimo vantaggio economico. 
Può un'Europa, che abbia queste caratteristiche, competere con le altre grandi aree economiche del Globo: dalla Russia di Putin, alla Cina di Xi Jinping o agli altri paesi che rappresentato i Brics? Ma soprattutto come è stato possibile raggiungere questo livello di atrofia?

Ed ecco allora che gli errori tedeschi, quale principale potenza economica europea, tornano al pettine. E sono errori che hanno una valenza internazionale, ma soprattutto interna.  
Malcom X, il leader rivoluzionario degli afroamericani, era solito dire che le prime vittime dell'americanismo erano gli uomini della pelle nera. 
Lo stesso paradigma può essere applicato ai tedeschi. Sono loro le prime vittime di un modello di sviluppo economico che ha puntato tutto sulla potenza finanziaria, guidata dal traino delle esportazioni, senza ricevere in cambio un compenso adeguato. Il loro reddito pro-capite è, indubbiamente, il più alto dell'Eurozona, ma va commisurato a un attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti che, da anni, è un multiplo del tasso di sviluppo complessivo dell'economia. Il che significa una compressione dei livelli di benessere individuali rispetto al relativo potenziale.
In altre circostanze una simile situazione avrebbe dato luogo a intense lotte sociali, per ripartire in modo più equo il risultato della produzione complessiva. Avrebbe comportato aumenti salariali: come recentemente invocato dallo stesso Mario Draghi. Un welfare più attento alle situazioni di bisogno, specie in determinati territori. Una lotta più decisa contro i livelli di povertà, che rappresentano la contraddizione più stridente in un paese che destina ingenti risorse alla pura e semplice esportazione di capitali.
 Per garantirsi i quali comprime, in modo sistematico, il mercato interno e, quindi, le ulteriori possibilità di sviluppo. Secondo le valutazioni del Fmi, nel 2016, il surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti in Germania è stata pari all'8,1 per cento del Pil, contro l'1,7 per cento della Cina e lo 0,8 delle Economie avanzate.
Questa politica ha finito per creare un malcontento diffuso, appena velato dal continuo richiamo alla necessità della stabilità finanziaria. Una sorta d'ideologia all'insegna della falsa coscienza. 
Contenere il deficit di bilancio ha senso in una congiuntura surriscaldata. Diventa un macigno se l'economia cresce al di sotto del suo potenziale produttivo, per effetto di una vocazione deflazionistica.
Con riflessi negativi sull'intera Eurozona, che è risultata prigioniera di un tasso di cambio dell'euro, nei confronti delle altre valute, eccessivamente elevato. Ed al quale la Germania ha dato un contributo determinate, considerato che quell'attivo è pari a circa il 75 per cento del surplus complessivo dell'intera Eurozona.

Sono stati questi squilibri strutturali che hanno costretto Mario Draghi a ricorrere al quantitative easing, nella speranza di far crescere il tasso d'inflazione, pompando liquidità nel sistema europeo.  
Un'arma tutt'altro che risolutiva, come da lui stesso più volte indicato. L'effetto è stato quello di comprimere al massimo i rendimenti di capitale e quindi estendere il malcontento a quei settori della società tedesca che dovevano il loro benessere relativo ai risparmi accumulati e da allora sottoposti a un rendimento negativo.
Si spiegano così i risultati elettoriali. Da una parte i liberali che vorrebbero porre fine al regno del banchiere italiano. Dall'altro l'Alternative für Deutschlandche ha eroso le basi di consenso di quello che, una volta, era l'elettorato dei socialdemocratici dell'Spd. 
La cui responsabilità è stata quella di non aver avuto la forza di comprendere e contestare in radice le caratteristiche di un modello di sviluppo che finiva per colpire, innanzitutto, la grande massa dei lavoratori tedeschi.
(SI NOTI: E' ESATTAMENTE QUEL CHE E' SUCCESSO ANCHE IN ITALIA, CON LA POLITICA DI MATTEO RENZI E DEL PD DI SELVAGGIA PRECARIZZAZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO !!!)
Uscire da questo ginepraio non sarà facile. E forse non basterà neppure l'appello del presidente Frank-Walter Steinmeier. Le fratture sociali, che si sono determinate, impediscono ogni ricomposizione dell'attività di governo. Almeno fin quando non sarà chiaro in che modo andare avanti nella conservazione o nel superamento di un modello di sviluppo giunto al suo capolinea.

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