Mps: da Mussari a Profumo chi paga sono i lavoratori
Il piano industriale del presidente "coperto" dai sindacati "complici"
Le dimissioni di Mussari dall'Abi hanno acceso i riflettori sul Monte dei Paschi di Siena, il terzo gruppo bancario italiano con i suoi 31.000 dipendenti.L 'inchiesta avviata ha fatto emergere che nel periodo in cui questi presiedeva l'istituto senese ha utilizzato diversi prodotti derivati per coprire perdite di bilancio. Un fatto su cui si vociferava da tempo. La Guardia di Finanza a maggio del 2012, con riferimento all'acquisizione della banca Antonveneta aveva effettuato delle perquisizioni a casa e negli uffici di Mussari ed il ministro dello sviluppo Passerà aveva " auspicato" che non trovassero nulla. Al di là dell'opportunità di tali dichiarazioni mentre la guardia di finanza faceva il suo lavoro, nessuno si è posto il problema dell'opportunità che Mussari continuasse a sedere sullo scranno più alto dell'Associazione Bancaria Italiana. Non se lo è posto l'Abi, che gli ha confermato piena fiducia rinnovandogli il mandato, non se lo è posto il governo, che con le dichiarazioni di Passerà dava la sua benedizione all'avvocato senese, non se lo è posto il Partito Democratico, che come noto controlla la banca tramite il comune di Siena e la Fondazione, non se lo è posto la Banca d'Italia l'organo di vigilanza che non si e' accorto di nulla.
Il Pd senese, soltanto tra il gennaio 2011 e il febbraio 2012, riceveva da Mussari due assegni per complessivi 200.000 euro (ma secondo i dati ufficiali della camera dei deputati dal 2002 l'importo cresce a 683.500 euro). Il presidente dei banchieri che finanzia il partito più grande della "sinistra". Ma, a dimostrazione dell'autonomia del Pd, questi, il 28 febbraio dello scorso anno, fa approvare un emendamento alle liberalizzazioni con cui "sono nulle tutte le clausole comunque denominate che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito''. Una vittoria per il Pd che si ascrive il risultato ottenuto. Tutto il vertice dell'Abi, Mussari in testa rassegna le dimissioni. La norma appena partorita farebbe perdere troppi soldi alle banche. Anziché cogliere l'insperata occasione di cogliere due fave con un piccione, contrordine compagni, Bersani dichiara che il governo deve modificare tutto l'impianto normativo.
Ma la vicenda dei derivati che ha portato alle dimissioni di Mussari è solo l'ultimo atto di una carriera segnata da disastri. L'acquisto di Antonveneta è il vero capolavoro che ha aperto a questo brillante manager le porte dell'Abi. L'associazione dei banchieri non poteva fare a meno di premiare cotanta professionalità riconoscendogli la massima carica.
Al momento dell'acquisto, Antonveneta capitalizzava 2,3 miliardi di Euro. Mediamente, le operazioni che venivano effettuate nel settore prevedevano un prezzo pari ad un multiplo di 2,5 volte il valore della capitalizzazione. L'Istituto spagnolo Santander aveva acquistato Antonveneta soltanto due mesi prima di cederla al Mps pagandola 6,5 miliardi di euro, un valore di poco superiore al multiplo di cui sopra. Dopo soli 60 giorni Mussari la pagava ad un prezzo pari a 10,2 miliardi di euro, con un multiplo pari a 4,5 volte e con una differenza di ben 3,7 miliardi di euro. Delle due l'una: il Santander aveva fatto l'acquisto del secolo o Mussari stava seriamente ipotecando la stabilità economico-finanziaria del Mps-Antonveneta. Il fatto che l'Istituto proprio in questi giorni abbia ottenuto 3,9 miliardi di Euro dallo stato italiano, sotto forma di Monti bond, la dice lunga su quanto pesi quel sovrapprezzo pagato al Santander. Ma, come detto, tale operazione, lungi dal decretare la fine di questo personaggio, lo lancia invece alla presidenza dell'Abi. Qualcuno, forse, da questa operazione miliardaria deve averci guadagnato, certamente non i lavoratori dell'ormai ex Antonveneta e del Monte Paschi di Siena che sono coloro che, in questi giorni, in un silenzio assordante, vengono chiamati a pagare un prezzo salatissimo. Nel frattempo la presidenza dell'Istituto senese è passata da Mussari a Profumo, banchiere indagato per frode fiscale dalla procura di Milano (evidentemente a Siena fa curriculum), anch'esso ben visto dal Partito democratico.
Vista la situazione economica compromessa, Profumo ottiene le mani libere da parte di tutti e lancia il guanto di sfida ai lavoratori del Mps varando un piano industriale che prevede: una riduzione di organico di 4.600 lavoratori e lavoratrici entro il 2015, esternalizzazione con cessione di ramo di azienda di 1.110 lavoratori facenti parte del Consorzio Mps, ricorso al fondo di solidarietà per 1.000 unità integralmente pagato dai lavoratori, stralcio di intere parti del contratto Integrativo che peggiorano sia la parte economica che professionale. Un attacco senza precedenti nella storia delle relazioni industriali in Mps che dice chiaramente chi pagherà il conto lasciato da Mussari. Ma nessuno ne parla, nessuno sembra avvedersene. Ma per comprendere bene la gravità dei fatti e bene ricordare che soltanto qualche mese or sono era stato firmato proprio da Mussari, a nome dell'Abi e dalle segreterie sindacali nazionali di categoria, un contratto di lavoro che recuperava soltanto una parte esigua dell'inflazione dietro il ricatto occupazionale e si garantiva in cambio 5.000 nuove assunzioni nelle banche e la reinternalizzazione di lavorazioni uscite dal settore. Il contratto ha ottenuto il "no" di oltre il 40 per cento dei lavoratori ed il "no" della stragrande maggioranza degli iscritti alla Fisac-Cgil (la cui segreteria nazionale aveva pure firmato). Essi avevano capito che si trattava di promesse da mercante. L'attacco occupazionale dunque non si è fermato con la firma del contratto nazionale a perdere ma, al contrario, ha trovato vigore da questo ed ha colpito pesantemente non solo il Mps ma tutti principali gruppi bancari.
Ma la beffa peggiore è nascosta dietro il finanziamento dello stato al Mps che si continua a dire non essere a fondo perduto. Infatti, in caso di mancato rimborso dei 3,9 miliardi di euro, il Mps dovrà pagare con azioni proprie, ma non non è affatto chiaro quale sarà il prezzo che verrà scelto, se al costo storico o di mercato, come sarebbe del tutto naturale.
Nel primo caso, come ha cercato di fare la commissione finanze un mese fa circa con un emendamento inserito nel patto di stabilità senza che alcun partito si opponesse, si tratterebbe di un regalo fatto agli azionisti, in quanto il costo storico non ha alcun corrispettivo con la realtà ed allo Stato non rimarrebbe che un pugno di mosche.
Nel secondo caso, lo Stato diverrebbe azionista di maggioranza, ma questo significherebbe che Profumo incontrerebbe molte più difficoltà a cancellare 4.640 posti di lavoro e che i soldi presi dalle tasche dei lavoratori dipendenti, che costituiscono il 90 per cento del gettito fiscale, almeno tornerebbero allo Stato.
Per il momento l'Unione Europea ha fermato il blitz tentato in commissione finanze, in quanto si configurerebbe come aiuto di Stato, ma risulta chiaro che l'intenzione non è quella di nazionalizzare il Mps, bensì di utilizzare i soldi dei lavoratori dipendenti come un bancomat a favore degli azionisti (domani probabilmente con qualche investitore russo rampante invitato da Profumo).
Lo scandalo di cui invece nessuno parla è che il piano industriale ha partorito un accordo tra Profumo Fiba-Cisl, Uilca, Ugl e Sinfub. La Fisac-Cgil, prima sigla per rappresentatività, non ha firmato (insieme ad altre sigle minori della categoria) ed ha proposto di sottoporre al voto certificato l'accordo, sia con assemblee unitarie che separate, così come previsto esplicitamente dal Ccnl. La risposta e' stata completamente negativa. Così mentre i sindacati firmatari facevano assemblee puramente informative con pochissimi lavoratori, la Fisac-Cgil raccoglieva 6.293 voti contrari su 6.667 votanti, con una percentuale di contrari pari a circa il 95 per cento, un risultato assolutamente straordinario. Né l'azienda né i sindacati firmatari intendono ascoltare i lavoratori e le lavoratrici. Il risultato è eclatante! La trattativa va ripresa al più presto, tenendo presente che non può essere tradito il mandato delle assemblee che hanno sancito un "no" secco all'esternalizzazione ed all'esodo coercitivo, nonché la difesa del contratto integrativo nelle sue parti più importanti. Se si permettesse a chi ha firmato questo accordo di farla franca, la parola democrazia non avrebbe più alcun valore. Adesso chi deve parlare lo faccia.
Tel.3890028050
Daniele Canti, segretario regionale Lazio, Fisac Cgil
in data:30/01/2013
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