Dal sito Eddyburg (http://www.eddyburg.it/2014/
Le buone
leggi ci sono (c’erano), ma l’assenza di
controlli rigorosi e la colpevole negligenza
dei notai hanno consentito la privatizzazione
selvaggia e iniqua del patrimonio pubblico.
Se i sindaci di Roma di destra, centro e sinistra
si fossero limitati a far rispettare la legge
nella compravendita delle decine di migliaia di
case della sterminata periferia romana costruite
dalla fine degli anni Settanta sui terreni
espropriati dal Comune, oggi le casse del
Campidoglio non piangerebbero con un debito che ha
sfiorato i 900 milioni di euro.
Per decenni quel
gigantesco patrimonio immobiliare che va sotto il
nome di edilizia popolare è stato un Far West.
Intorno a quelle case e sotto gli occhi di tutti è
stato organizzato un mercato selvaggio con
migliaia di atti di compravendita solo
all'apparenza regolari, con perfino i timbri e le
firme dei notai al posto giusto, ma effettuati
aggirando la legge.
Una mastodontica
giostra immobiliare su cui sono saliti in molti.
I
proprietari delle case popolari in primo luogo,
gente in genere con redditi bassi, a cui il Comune
aveva concesso di realizzare a poco prezzo il
sogno di avere un tetto. Ma ai quali è stato poi
regalato un terno secco, permettendogli di vendere
quello stesso tetto non a un prezzo contenuto e
concordato, considerando che si trattava di
immobili che all'origine costavano poco proprio
perché realizzati su terreni espropriati e quindi
quasi regalati. Ma a prezzo pieno, di mercato. Con
un guadagno eccezionale per i venditori, tre o
quattro volte il prezzo iniziale. Case pagate a
suo tempo meno di 200 milioni di lire, sono state
rivendute di recente a 350 mila euro e anche più.
Ci hanno guadagnato i politici romani che con le
case di edilizia residenziale pubblica si sono
fatti molti amici tra gli elettori delle
periferie. Ci hanno guadagnato i notai che,
fidandosi ciecamente delle attestazioni degli
uffici comunali, hanno messo il bollo su atti che
alla prova delle aule dei tribunali si stanno
dimostrando per quel che sono: illegittimi. Ci
hanno guadagnato anche molti tecnici comunali che
hanno assistito imperterriti alla fiera e in
alcuni casi l'hanno agevolata, se non promossa.
E
ci hanno indirettamente guadagnato i grandi
immobiliaristi capitolini, da Francesco Gaetano
Caltagirone in giù, perché se il prezzo delle case
a Roma per decenni e prima che arrivasse la falce
della crisi aveva toccato livelli di pazzia
collettiva lo si deve anche al fatto che l'enorme
serbatoio dell'edilizia convenzionata è stato
scambiato a prezzo pieno, lasciando che andasse a
farsi benedire ogni effetto calmieratore.
Chi ci
ha rimesso sono state le casse comunali e quindi
tutti quei milioni di romani, la maggioranza, che
non hanno partecipato alla sarabanda o perché non
la ritenevano giusta o perché non erano nelle
condizioni di poter partecipare, ma che alle tasse
comunali non si sono potuti sottrarre neanche un
po'. E ci hanno perso anche migliaia di famiglie
romane sotto sfratto (una ogni 191) non più in
grado di pagare affitti saliti in media del 160
per cento a causa della speculazione.
Secondo un calcolo
prudenziale di Giuseppe Di Piero, presidente di
Area 167, l'associazione che si è dedicata anima e
corpo alla denuncia dello scempio, insieme
all'avvocato che ha sostenuto la causa, Antonio
Corvasce, il Comune di Roma ci ha rimesso almeno
mezzo miliardo di euro.
Il legale ha presupposto
che il Comune rispettasse la legge facendo pagare
ai trasgressori la multa prevista fino a 4 volte
la differenza tra il prezzo giusto, calmierato, e
quello realmente preteso dai venditori. Corvasce
ha vinto alcuni giorni fa una causa promossa da
una privata cittadina che si riteneva danneggiata
dal sistema di compravendita usato a Roma per le
case di edilizia pubblica.
Il tribunale civile
della Capitale ha accolto la tesi della cittadina
e dell'associazione Area 167 secondo cui
“concedere una sorta di patente speculativa in
capo al primo acquirente/assegnatario di un
alloggio di edilizia residenziale pubblica,
costruito su aree espropriate, non può essere
considerato interesse pubblico”.
A Milano, Firenze, Reggio Emilia, Torino, Pisa, Venezia, Ferrara, Bologna, Parma, Cagliari e in molte altre città la legge è stata rispettata. A Roma no.
Ora la giunta Marino non sa che pesci prendere: per l'assessore all'Urbanistica, Giovanni Caudo, il problema c'è ma non sa da che parte cominciare per risolverlo.
A scanso di equivoci l'associazione Area 167 gli ha spedito una diffida (vedi http://www.area167.org/?p=249 ) invitandolo a interrompere una volta per tutte la giostra delle case popolari.
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