La decrescita felice degli oneri concessori Valori rimasti fermi ai parametri fissati nel 1994. Rivalutazione irrisoria nel 2006 rispetto alla crescita dei valori immobiliari dell’ultimo quindicennio. Ma vogliamo farla finita con questi regali per i "palazzinari" ? Fra l'altro, con l'enorme debito del comune di Roma per cui il comune ha appena chiesto una linea di credito alle banche da 8 MILIARDI DI EURO, NON POSSIAMO PIU' PERMETTERCELI !!!
link: http://tg-talenti.blogspot.it/2011/06/la-decrescita-felice-degli-oneri.html
RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO DA RETE ROMANA DI MUTUO SOCCORSO:
Aldo Pirone - 16/06/2011 Pup monery*. La decrescita felice degli oneri concessor
In questi ultimi lustri a Roma, ma non solo a Roma, ha regnato la cosiddetta urbanistica contrattata; infatuazione di origine neoliberista da cui è difficile uscirne. Difficile soprattutto per chi l’ha sensualmente incontrata per la prima volta dopo una vita di monastica privazione all’insegna della demonizzazione dell’economia di mercato.
La passionale infatuazione consiste nel concepire le politiche urbanistiche e anche di mobilità fondato sulla contrattazione con i privati. Il che non è una bestemmia. Ogni politica pubblica, anche la più rigorosa dal punto di vista della salvaguardia dell’interesse generale e del bene comune, deve in qualche modo contrattare con gli interessi privati e trovare con loro una composizione o anche, auspicabilmente, un concorso al fine di pubblica utilità.
Lo dice pure la Costituzione della Repubblica. Ma quella che ha dominato in questi anni non è stata una contrattazione oculata dentro specchiate e trasparenti programmazioni pubbliche, bensì l’assunzione dell’interesse privato, spesso volgarmente speculativo, spacciato come interesse generale da cui ricavare risorse, i cosiddetti oneri concessori, da destinare ad opere di pubblico interesse. L’onere concessorio è stato, tra gli altri immaginifici vantaggi, l’idolatrico vitello d’oro che ha accompagnato questa politica contrattualistica, sbandierato ad ogni piè sospinto dalle sue vestali a fronte di ogni dubbio e contestazione che sorgeva dai cittadini stravolti dal cemento generatore delle benefiche beneficienze concessorie.
D’altra parte, c’è da dire, che anche le politiche governative, che hanno tagliato selvaggiamente le risorse ai comuni riducendoli alla canna del gas, hanno spinto anche i non adoratori di vitelli a considerarli come risorse indispensabili per fare il minimo necessario per i propri territori. I risultati per la città sono sotto gli occhi di tutti: espansione a macchia d’olio, espulsione dei ceti popolari in periferie sempre più lontane senza funzioni e senza servizi, traffico sempre più avvolgente e stravolgente, inquinamenti ambientali crescenti, consumo di suolo agricolo e distruzione del paesaggio.
Uno dei templi più famosi dove il vitello concessorio è stato adorato è il Pup.
Vediamo di ricostruire, per sommi capi, genesi e quantità del cosiddetto “corrispettivo della costituzione del diritto di superficie”.
Nel 1994 il Consiglio comunale, Sindaco Rutelli, con la deliberazione n. 230 definì i parametri di questi oneri. Suddivise la città in otto fasce urbanistiche più o meno pregiate assegnando ad esse un coefficiente parametrale e ricavando da esso una cifra per mc. di box pertinenziale.
In X Municipio nella zona Appio Claudio, per esempio, la cifra concessoria era pari a lire (non c’era ancora l’euro) 54.000 per mc. per una media calcolata di 90 mc. per ogni box. Il valore medio di un appartamento in questa zona (fascia 2) veniva definito fra i 3.000.000 e i 3.500.000 al mq. A Don Bosco invece (fascia 1 fino a 3.000.000) l’onere era di 41.000 lire.
Tradotto il tutto all’oggi, e applicandolo ai 218 box pertinenziali del Pup in costruzione di Giulio Agricola, l’onere concessorio sarebbe risultato all’epoca di circa 547.175 euri e 572.275 per i 228 box di viale Tito Labieno. Oppure 514.545 per i 270 di quello di via M.F. Nobiliore.
Dopo 12 anni il Sindaco Veltroni, in procinto di divenire commissario straordinario, sembrò destarsi da un lungo letargo accorgendosi finalmente del tempo trascorso e pensò bene di far votare al Consiglio comunale, nel gennaio 2006, l’adeguamento della cifra fino al 31 dicembre aumentandola del 29,3 %, corrispondente alla rivalutazione dell’indice Istat sul costo delle costruzioni intervenuta nel dodicennio e stabilendone una rivalutazione biennale a partire dal 2007 sempre in base all’indice suddetto.
Nel frattempo nessuno si era accorto, si fa per dire, che l’Italia era entrata nell’euro e che i valori immobiliari, così come i prezzi al consumo, erano con la nuova moneta quanto meno duplicati ignorando, bellamente ricambiati, ogni indice Istat. In assenza di seri controlli da parte del governo Berlusconi allora in carica, la congregazione dei furbi aveva applicato il cambio personale equiparando mille lire ad un euro. Un appartamento che prima si vendeva a 300 milioni, ora, nel 2002-3, lo si offriva a 300.000 euro. Per poi crescere ulteriormente nel quasi decennio successivo. Insomma con quell’adeguamento non ci si era proprio svegliati, ma solo girati nel letto, per poi continuare a dormire nelle capienti braccia di Morfeo. Braccia che hanno prontamente avvolto, in questa continuità soporifera, anche il successore sindaco-commissario Alemanno.
Oggi il valore di riferimento delle abitazioni all’Appio Claudio, ma anche a Don Bosco, non è certo quello del 1994. Siamo a circa tre volte tanto.
In questi ultimi lustri a Roma, ma non solo a Roma, ha regnato la cosiddetta urbanistica contrattata; infatuazione di origine neoliberista da cui è difficile uscirne. Difficile soprattutto per chi l’ha sensualmente incontrata per la prima volta dopo una vita di monastica privazione all’insegna della demonizzazione dell’economia di mercato.
La passionale infatuazione consiste nel concepire le politiche urbanistiche e anche di mobilità fondato sulla contrattazione con i privati. Il che non è una bestemmia. Ogni politica pubblica, anche la più rigorosa dal punto di vista della salvaguardia dell’interesse generale e del bene comune, deve in qualche modo contrattare con gli interessi privati e trovare con loro una composizione o anche, auspicabilmente, un concorso al fine di pubblica utilità.
Lo dice pure la Costituzione della Repubblica. Ma quella che ha dominato in questi anni non è stata una contrattazione oculata dentro specchiate e trasparenti programmazioni pubbliche, bensì l’assunzione dell’interesse privato, spesso volgarmente speculativo, spacciato come interesse generale da cui ricavare risorse, i cosiddetti oneri concessori, da destinare ad opere di pubblico interesse. L’onere concessorio è stato, tra gli altri immaginifici vantaggi, l’idolatrico vitello d’oro che ha accompagnato questa politica contrattualistica, sbandierato ad ogni piè sospinto dalle sue vestali a fronte di ogni dubbio e contestazione che sorgeva dai cittadini stravolti dal cemento generatore delle benefiche beneficienze concessorie.
D’altra parte, c’è da dire, che anche le politiche governative, che hanno tagliato selvaggiamente le risorse ai comuni riducendoli alla canna del gas, hanno spinto anche i non adoratori di vitelli a considerarli come risorse indispensabili per fare il minimo necessario per i propri territori. I risultati per la città sono sotto gli occhi di tutti: espansione a macchia d’olio, espulsione dei ceti popolari in periferie sempre più lontane senza funzioni e senza servizi, traffico sempre più avvolgente e stravolgente, inquinamenti ambientali crescenti, consumo di suolo agricolo e distruzione del paesaggio.
Uno dei templi più famosi dove il vitello concessorio è stato adorato è il Pup.
Vediamo di ricostruire, per sommi capi, genesi e quantità del cosiddetto “corrispettivo della costituzione del diritto di superficie”.
Nel 1994 il Consiglio comunale, Sindaco Rutelli, con la deliberazione n. 230 definì i parametri di questi oneri. Suddivise la città in otto fasce urbanistiche più o meno pregiate assegnando ad esse un coefficiente parametrale e ricavando da esso una cifra per mc. di box pertinenziale.
In X Municipio nella zona Appio Claudio, per esempio, la cifra concessoria era pari a lire (non c’era ancora l’euro) 54.000 per mc. per una media calcolata di 90 mc. per ogni box. Il valore medio di un appartamento in questa zona (fascia 2) veniva definito fra i 3.000.000 e i 3.500.000 al mq. A Don Bosco invece (fascia 1 fino a 3.000.000) l’onere era di 41.000 lire.
Tradotto il tutto all’oggi, e applicandolo ai 218 box pertinenziali del Pup in costruzione di Giulio Agricola, l’onere concessorio sarebbe risultato all’epoca di circa 547.175 euri e 572.275 per i 228 box di viale Tito Labieno. Oppure 514.545 per i 270 di quello di via M.F. Nobiliore.
Dopo 12 anni il Sindaco Veltroni, in procinto di divenire commissario straordinario, sembrò destarsi da un lungo letargo accorgendosi finalmente del tempo trascorso e pensò bene di far votare al Consiglio comunale, nel gennaio 2006, l’adeguamento della cifra fino al 31 dicembre aumentandola del 29,3 %, corrispondente alla rivalutazione dell’indice Istat sul costo delle costruzioni intervenuta nel dodicennio e stabilendone una rivalutazione biennale a partire dal 2007 sempre in base all’indice suddetto.
Nel frattempo nessuno si era accorto, si fa per dire, che l’Italia era entrata nell’euro e che i valori immobiliari, così come i prezzi al consumo, erano con la nuova moneta quanto meno duplicati ignorando, bellamente ricambiati, ogni indice Istat. In assenza di seri controlli da parte del governo Berlusconi allora in carica, la congregazione dei furbi aveva applicato il cambio personale equiparando mille lire ad un euro. Un appartamento che prima si vendeva a 300 milioni, ora, nel 2002-3, lo si offriva a 300.000 euro. Per poi crescere ulteriormente nel quasi decennio successivo. Insomma con quell’adeguamento non ci si era proprio svegliati, ma solo girati nel letto, per poi continuare a dormire nelle capienti braccia di Morfeo. Braccia che hanno prontamente avvolto, in questa continuità soporifera, anche il successore sindaco-commissario Alemanno.
Oggi il valore di riferimento delle abitazioni all’Appio Claudio, ma anche a Don Bosco, non è certo quello del 1994. Siamo a circa tre volte tanto.
Da una parte,
quindi, l’onere concessiorio è stato rivalutato del 30% (più gli
scatti di indice Istat successivi) dall’altra, invece, i valori
immobiliari di riferimento sono saliti del 300%.
Per cui c’è stata una decrescita reale degli oneri dovuti dal concessionario.Il vitello concessorio per ora si è dimostrato d’oro solo per i costruttori; per la collettività dei cittadini, invece, solo una bistecchina tutt'osso.
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