IMU E BOLLA IMMOBILIARE: LA REPUBBLICA-ECONOMIA E FINANZA LANCIA -POCHI MINUTI FA- UN FORTE ALLARME SUL CROLLO DEL MATTONE E SULL'ESPLOSIONE DELLA BOLLA IMMOBILIARE !!!
http://www.repubblica.it/supplementi/af/2012/04/23/copertina/001maniera.html
Adriano Bonafede e Marco Panara
Con la crisi del mattone se ne va
forse l’ultima illusione degli italiani. Quella di avere un approdo
sicuro per i propri risparmi, un rifugio contro qualsiasi tempesta. Dopo
il calo dei redditi reali, ora anche la casa, tra Imu e fine della
"bolla", comincia a diventare fonte di preoccupazione. La colpa viene
adesso addossata all’Imu, un’imposta molto più pesante (soprattutto
sulle seconde case) della precedente Ici. Imu che, secondo il direttore
del Censis Giuseppe Roma, potrebbe portare a un calo dei prezzi del 20 e
in alcuni casi del 50 per cento. Un’affermazione azzardata si sono
subito affrettati a controbattere un po’ tutti gli operatori e non
suffragata da dati scientifici. Ma forse Roma voleva solo lanciare un
allarme, avvertire sulle possibili conseguenze di una nuova tassa che va
a colpire un settore già in grave affanno per conto suo.
E certo, a
guardare i dati elaborati dall’Ance, l’associazione dei costruttori,
non c’è da stare allegri. Gli investimenti in abitazioni in Italia sono
precipitosamente scesi a partire dalla fine del 2007 e sono adesso
tornati ai livelli che avevano nel 2000; in cinque anni (20082012) il
livello degli investimenti in costruzioni (tutti i comparti) "si è
ridotto del 40,4 per cento in termini reali". Segno meno a due cifre per
ogni segmento: abitazioni 18,6, nuove case 40,4, non residenziale 29,5,
con la parte privata che vede un 23,3 e quella pubblica 37,2 per cento.
L’unico segmento che ancora si salva (forse grazie alla detrazione
fiscale del 36 per cento) è quello della manutenzione straordinaria (più
6,3 per cento negli ultimi cinque anni), che però è il segno tangibile
di una ritirata nell’ultima trincea rimasta, quella della propria
abitazione.
Il numero di compravendite, dopo aver raggiunto il picco
di 869 mila, è rapidamente sceso di oltre il 30 per cento e nel 2012,
secondo l’Ance, dovrebbe attestarsi sotto la fatidica soglia dei 600
mila. Di fatto siamo tornati ai livelli di quattordici anni fa, prima
dell’inizio del boom.
Di fronte a questa crisi generale di
investimenti e compravendite, i prezzi, finora, hanno resistito
abbastanza bene. Non c’è stata nessuna brusca caduta, come in altri
paesi dove la bolla immobiliare era stata ben più pronunciata come in
Spagna e in Irlanda. Rispetto ai picchi di prezzo raggiunti nel primo
semestre del 2008, "nelle grandi città si legge nell’ultima nota
dell’Ance la riduzione media dei prezzi delle abitazioni è stata
dell’8,6 per cento". Non molto, anche se per la verità in termini reali
siamo già a un meno 14 per cento. Poi, naturalmente, le situazioni sul
territorio italiano sono molto variegate. «Le grandi città dice Lorenzo
Bellicini, direttore del Cresme hanno resistito meglio delle aree di
provincia. Il Sud in generale è andato peggio del Nord».
Ma il punto è
un altro. Anche in passato ci sono state crisi immobiliari. La domanda
che però aleggia in questo momento nel nostro paese è però un’altra:
stavolta sarà diverso? È cambiato o cambierà qualcosa in modo
strutturale? Difficile dare una risposta. Ma una chiave di lettura la dà
Bellicini: «Il motore del cambiamento è la perdita strutturale della
capacità di produrre reddito nel paese. Guardiamo a cosa è accaduto
negli ultimi 1820 anni. Fino al 1995, secondo i dati della Banca
d’Italia, l’indebitamento delle famiglie per l’acquisto della casa era
molto basso. Nella fase successiva, quella del boom, il reddito ha
continuato a crescere poco ma c’è stata una grande disponibilità di
credito facile, che ha innescato un ciclo immobiliare molto positivo. In
quella fase chiunque comprasse qualsiasi immobile vedeva rivalutarselo
sotto gli occhi. Poi, a partire dalla seconda metà del 2006 le cose si
sono progressivamente deteriorate. Non è strano che il mercato
immobiliare, che è quello che nello scorso decennio è cresciuto di più, è
anche quello che adesso soffre di più».
Un grafico (pubblicato in
pagina) mostra chiaramente come i prezzi delle abitazioni siano
aumentati, a partire dal 2001, ben più sia dei salari sia del pil sia
dell’inflazione. Detto in altre parole, i prezzi delle case a un certo
punto sono partiti per la tangente. Ma dal nulla non si crea nulla,
almeno secondo la fisica tradizionale. Il che vuol dire che quel boom
dei prezzi dovrà essere riassorbito con un lento movimento discendente
che riavvicini i valori al pil e ai salari. La discesa è iniziata nel
2007 ma non sembra ancora finita. Anche perché, in questa fase, il
reddito disponibile tende a scendere per effetto delle correzioni in
atto nei conti pubblici, che portano un forte aumento della pressione
fiscale.
A preoccupare gli operatori è il fatto che non s’intraveda
in questo momento alcuna via di fuga. Tutti i fattori negativi ruotano
insieme in un vortice depressionario. «La situazione è molto complessa
dice Valter Mainetti, fondatore e amministratore delegato di Sorgente,
un’sgr specializzata in fondi immobiliari per investitori istituzionali
Sono sempre stato molto ottimista ma stavolta lo sono meno. Certo,
prima o poi questo vento di tempesta passerà, ma chissà fra quanto. Ora
sono troppi gli elementi che per una serie di circostanze operano tutti
contro una ripresa del mattone: gli immobili sono tartassati; le
famiglie vedono ridursi il reddito; mancano gli acquirenti
istituzionali: gli enti di previdenza, che finora sono stati tra i
principali investitori, sono al centro di una tempesta giudiziaria e
forse di una possibile riforma; gli stranieri se ne sono andati; una
serie di riforme con effetto retroattivo, prima di Tremonti ma
avvalorate poi anche da Monti, hanno disorientato gli operatori. Tanto
per far capire, noi adesso stiamo raccogliendo denaro estero su estero
con le nostre sgr londinese e lussemburghese. In Italia staremo fermi
per almeno un anno».
Il crollo del mattone preoccupa non soltanto i
costruttori e le famiglie, che potrebbero veder ridurre il valore della
propria ricchezza, ma molti altri soggetti economici, in effetto
"demoltiplicativo" di vasta portata nell’economia italiana. «Le
costruzioni dice Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance hanno la filiera
produttiva più lunga: ha a che fare con l’80 per cento dei settori
economici italiani: dal cemento e dal calcestruzzo ai laterizi, dalla
tecnologia (caldaie, climatizzazione, domotica) al legno e
all’arredamento. C’è inoltre un’importante filiera, quella
dell’efficienza energetica, che punta a usare tecniche progettuali
avanzate. Né bisogna dimenticare la progettistica. È per questo che si è
sempre detto che se l’edilizia va, tutto va. Del resto, è proprio nelle
costruzioni che si ha un effetto sull’indotto più alto: ogni miliardo
di investimenti in questo settore genera una ricaduta sugli altri
settori pari a 3,37 miliardi».
La crisi della casa è accentuata
anche dalle banche, che oggi preferiscono centellinare i mutui perché
non hanno sufficiente raccolta a medio lungotermine. Ma ciò, da un altro
punto di vista, le impoverisce, perché i redditi ricavabili dai mutui
scendono. Inoltre, le banche sono state le prime a essere colpite dalla
crisi del mattone, esplosa inizialmente con la rovinosa caduta degli
immobiliaristi come Zunino, Coppola, Statuto, Ricucci, e si sono dovute
accollare in un modo o nell’altro buona parte dei loro beni.
Come si
vede in questo momento la ruota della fortuna gioca per il mattone in
senso contrario. E poi, il governo ha messo un ulteriore carico sulla
casa con l’Imu. L’effetto sarà così disastroso come preconizza il
Censis? «Non credo dice Valerio Angeletti, presidente della Fimaa, la
federazione degli agenti immobiliari. Certo, non è una tassa che
incoraggi gli investimenti ma chi può credere che tutti si metteranno a
vendere perché devono pagarla? Manca però qualsiasi politica a favore
della casa e gli operatori soffrono tutti. Per noi il calo degli affari è
stato in media del 30 per cento».
Ma c’è chi sostiene che l’Imu fa
bene, anzi che avrebbe dovuto essere più alta. «In Italia dice
Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Università di Trento le imposte
sono spostate troppo sul reddito e poco sul patrimonio. Il governo Monti
avrebbe dovuto alzare ancora le aliquote e con il maggior reddito
finanziare uno sgravio fiscale per i redditi più bassi».
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