martedì 29 dicembre 2009

L'ESPRESSO IN EDICOLA: Giù le mani da Internet di Alessandro Gilioli - Sanzioni, filtri, accessi negati,il governo sta preparando la stretta sul Web


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Giù le mani da Internet
di Alessandro Gilioli
Sanzioni, filtri, accessi negati: il governo sta preparando la stretta sul Web. Ci sono motivi politici, ma non solo. Perché a Berlusconi conviene una Rete fragile e poco frequentata.

Se non fossimo di fronte al settimo - dicasi il settimo - tentativo di censurare Internet in Italia, forse potremmo anche credere a Roberto Maroni quando assicura di non volere alcuna "legge speciale" contro la Rete. Invece è appunto il settimo: un elenco che parte dal decreto contro il Wi-fi del 2005, passa per l'emendamento infilato all'ultimo minuto dentro il pacchetto sicurezza nel febbraio scorso (approvato al Senato e ritirato a furor di Web a Montecitorio), attraversa l'articoletto ammazza-blog nascosto nel disegno di legge Alfano sulle intercettazioni, include le due proposte di legge firmate rispettivamente da Gabriella Carlucci e Gaetano Pecorella e si conclude con la stretta sul livestreaming (la trasmissione di video via Web) appena richiesta dal viceministro delle comunicazioni Paolo Romani.

Normale quindi che attorno ai propositi del ministro degli Interni per "sanzionare" gli usi impropri della Rete ci sia non un po', ma tanta preoccupazione: l'idea di filtri informatici che rendano difficile raggiungere siti o gruppi di Facebook in cui vi sono apologie di reato, ad esempio, fa pensare inevitabilmente a Cuba o alla Birmania, due tra i paesi in cui più di frequente questi strumenti vengono utilizzati per schermare o negare l'accesso ai siti considerati sconvenienti.

Certo: Roma non è Rangoon. Ma evidentemente il governo non vuole nemmeno che sia New York, visto che negli Stati Uniti nessun politico avrebbe mai il coraggio neppure di pensare a imporre qualche filtro o censura sul Web: le cosiddette 'hate pages', cioè le pagine d'odio, esistono da sempre e vengono considerate un prezzo da pagare per non soffocare la libertà di tutti nella grande Rete. Del resto Obama lo ha detto chiaramente il 16 novembre scorso, parlando (non a caso) agli studenti cinesi: "Sono uno strenuo sostenitore di Internet e dell'assoluta mancanza di censura".

Una cultura un po' diversa da quella espressa dal nostro presidente del Senato, Renato Schifani ("Facebook è più pericoloso dei gruppuscoli degli anni Settanta") e da tutto lo stupidario dei tanti che si sono scagliati contro il Web prima e dopo il caso Tartaglia. A questo proposito la palma va probabilmente ex aequo a tre volti della tivù vicini al premier: Emilio Fede, Bruno Vespa e (ancora) Gabriella Carlucci. Il primo ha chiesto papale la chiusura di Facebook, "luogo di paranoia e violenza", in diretta sul suo Tg4; il secondo ha definito l'aggressore di piazza del Duomo "vicino ad ambienti del social network", frase dal significato misterioso visto che gli iscritti a Facebook in Italia sono circa dieci milioni e di ogni tendenza politica (come ha documentato anche una recente ricerca della Swg); la terza si è distinta per pacatezza affermando che "ormai i social network sono armi in mano a pochi delinquenti che, sfruttando l'anonimato, incitano alla violenza, all'odio sociale e alla sovversione".

Ma i motivi dell'offensiva contro Internet in Italia trascendono questi casi limite di conclamata ignoranza del Web. E affondano le proprie radici in un più complesso intreccio di cultura massmediologica, opportunità politica e interessi economici.

Silvio Berlusconi, sia come capopartito sia come capoazienda, non può avere in simpatia la Rete: luogo del tutto incontrollabile, spazio di comunicazione e dialogo grazie al quale (per esempio) è nato il No-B day, Internet rappresenta alla massima potenza il medium di confronto orizzontale che nasce dal basso, e va quindi nella direzione opposta a quella del mezzo televisivo, per definizione verticale e 'dall'alto'. Basti pensare a quanto sia abissalmente lontano, nelle sue forme, un gruppo su Facebook o una pagina di Wikipedia - dove ciascuno può intervenire e modificare il prodotto collettivo - rispetto alla videocassetta inviata alle tivù con cui il Cavaliere ha dato il via nel '94 alla sua 'discesa in campo'.

Sicché non è strano che anche il rating e l'autorevolezza dei siti berlusconiani nella parte più cliccata della Rete italiana non sia molto tranquillizzante per il premier e i suoi. Tra i blog 'amici' raccomandati dal sito ufficiale del Pdl, per esempio, non se ne trova uno che sia ai primi posti delle classifiche specializzate, mentre nelle prime 50 posizioni abbondano indirizzi marcatamente antiberlusconiani come l'Antefatto, Voglioscendere, Beppe Grillo, Giornalettismo e parecchi altri ancora, incluso il blog dell'odiato Antonio Di Pietro. Né il Pdl sembra ancora apprezzare le potenzialità pubblicitarie della Rete, visto che alle ultime elezioni le inserzioni on line e i banner (permessi dalla legge sulla par condicio) hanno visto i candidati e le liste del centrodestra investire meno di un quinto rispetto ai competitor del Pd e dell'Idv.

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