La grande rapina al treno
Data di pubblicazione: 18.12.2009
Se ci rubano il portafoglio rincorriamo il ladro; se ci rubano i beni che condividiamo con gli altri non ce ne accorgiamo nemmeno. Una riflessione territoriale per eddyburg
Nell’ultima settimana, le conseguenze dell’avvento del regime dell’alta velocità sui molti cittadini che ne pagano il costo senza riceverne alcun beneficio, anzi subendone spesso pesanti disagi, sono state segnalate dalla stampa. C’è, però, il forte rischio che le lagnanze si esauriscano in un mugugno rassegnato e che non si capisca che. dopo averci portato via i treni, stanno per rubarci anche le stazioni e la terra sulle quali queste insistono.
Contestualmente allo smantellamento del servizio ferroviario pubblico, infatti, trenitalia e i suoi complici, incluse le amministrazioni comunali di destra e di sinistra che ne avallano e propagandano i progetti, stanno ora dando l’assalto finale alle stazioni.
La funzione della stazione - la sua mission come dicono i manager o la sua natura ontologica come direbbero i sindaci filosofi - non è più quella di luogo dove si arriva e si parte, ma di centro commerciale nel quale può succedere di prendere un treno, un po’ come avviene al supermercato dove i bambini vengono depositati sulle giostrine mentre i genitori si dedicano allo shopping.
Gli interessi fondiari e immobiliari in gioco sono noti, ma ci sono almeno altri due aspetti che meritano di essere considerati con attenzione e che riguardano il modello di organizzazione del territorio e di organizzazione della società che viene perseguito e rafforzato attraverso tali operazioni.
Innanzitutto, sta passando inosservata la prossima attribuzione delle stazioni ai soli freccia rossa e la espulsione degli altri treni, se ne rimarranno, in luoghi a parte, che fa perfino rimpiangere la “terza classe” degli anni ’50. Rispetto alla segregazione fisica fra le diverse fasce della clientela, la terza classe, simbolo evidente delle disuguaglianze sociali e di reddito, almeno imponeva ai viaggiatori la visibilità reciproca. Inoltre, ritardi e disservizi colpivano un pò tutti. In un certo, si poteva dire di essere sullo stesso treno, perché se anche i viaggiatori non erano necessariamente animati da simpatia reciproca, i vagoni erano fisicamente solidali.
Ora, invece, la terza classe è stata sganciata, ed i suoi vagoni e viaggiatori considerati un fardello che intralcia gli affari sono costretti a spostarsi su un altro binario.
Dall’altro lato, se è stato spiegato come la speculazione sulle stazioni e sulle aree circostanti, veri e propri condensatori di rendita urbana, sia parte di un generale progetto di ristrutturazione delle città, non vengono denunziati in modo sufficientemente esplicito gli esiti perversi di un modello territoriale basato sulla retorica esaltazione della rete e dei nodi.
In un paese dove ogni città viene trasformata in parco tematico, infatti, il destino delle stazioni è di diventare “tappe” di una gigantesca disneyland a livello territoriale, nella quale torme di turisti passano da un’attrazione all’altra – da un ponte di Calatrava ad un grattacielo di Piano – che spesso coincide con la stessa stazione.
Si può parlarne?