venerdì 27 febbraio 2009

UNA INTERESSANTE RIFLESSIONE DI ENZO SCANDURRA SULLA CRISI DEL MODELLO ROMA E SULLA CONFERENZA DI DOMANI

RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO UNA INTERESSANTE ANALISI DI ENZO SCANDURRA SULLA CRISI DEL MODELLO ROMA

"Crisi della cittadinanza e costruzione del mondo condiviso Con il crollo del PD in Sardegna e la sconfitta di Soru - una delle esperienze forse più interessanti avviata nel campo della sinistra moderata - la crisi della sinistra sembra diventata inarrestabile, dal PD a Rifondazione. In questo quadro qualche considerazione va fatta non solo sulla crisi della rappresentanza istituzionale (partiti, amministrazioni, istituzioni, ecc.) ma, forse, adesso, anche sui “rappresentati”. C’è da chiedersi, infatti, come mai cittadini e abitanti che a Roma hanno sostenuto anche con forza il quindicennio di sinistra, abbiamo ora così bruscamente voltato ad esso le spalle e fornito un consenso esteso alla destra (vedi in proposito l’interessante articolo di Cinzia Gubbini, p. 12 del Manifesto del 19 febbraio). C’è da chiedersi, soprattutto, come mai questi stessi cittadini e abitanti romani non abbiamo dato vita a qualche altra forma di organizzazione civile per contrastare il verticismo e il burocraticismo delle organizzazioni partitiche. In questo campo c’è un deficit di analisi. I partiti della sinistra tutti (dal PD a Rifondazione) oltre che essere stati inadeguati a proporre visioni e scenari diversi dello sviluppo di una città, hanno svolto un ruolo pedagogico pessimo per ciò che attiene la crescita di una cittadinanza critica. Troppo poco (o anzi niente) si è discusso sul ruolo di educatori che gli amministratori dovrebbero includere tra i loro specifici compiti. Le democrazie moderne (anche quando a governare c’è la sinistra) esautorano i cittadini del loro ruolo di vigilanza attiva sul mandato conferito ai loro rappresentanti. La formula non disturbare il conducente vale anche a sinistra, anzi, forse tanto più a sinistra, come se una volta eletti i rappresentanti non avessero più il dovere di rendere conto del loro operato e come se, una volta svoltesi le elezioni, i cittadini non potessero che ritornare al loro ruolo passivo fino all’espletamento del mandato successivo. Questa particolare debolezza del concetto di cittadinanza è probabilmente responsabile dello spostamento elettorale. Come se i cittadini - per fare un esempio - che sentissero “tradito” o comunque mal interpretato il loro mandato avessero come unica possibilità di protesta quello di votare il partito avversario, anche se di parte totalmente opposta. Ciò che dunque manca è la capacità o la possibilità da parte dei cittadini di esprimere la loro volontà nei confronti dei loro eletti durante il periodo che intercorre da una votazione e l’altra. Come sosteneva Hannah Arendt sembra che l’unico giorno in cui i cittadini contano è quello delle elezioni, dopodiché ognuno di loro torna singolarmente nella propria casa fino allo scadere del successivo mandato. Possiamo definire tutto ciò come una democrazia imperfetta. Anche il concetto di cittadinanza, in questo senso, è del tutto inadeguato e altrettanto imperfetto. Cittadinanza e cittadino sono parole e concetti nobili che in Europa si riallacciano a tradizioni storiche illustri. Ora, in una crisi della sinistra di così ampie proporzioni e così profonda come intensità, il vero antidoto per la ricostruzione di un tessuto democratico sbrindellato e corroso non è quello di cambiare leader o bandierine o formazioni politiche, quanto piuttosto quello di ricostruzione uno spazio pubblico dove i cittadini possano sentirsi rappresentanti di se stessi e possano confrontarsi con i loro simili. Page 2 2 Dice Agamben (vedi il suo ultimo libro, Nudità) che il desiderio di essere riconosciuto dagli altri è inseparabile dall’essere umano. Questo riconoscimento gli è, anzi, così essenziale che ciascuno è disposto per ottenerlo a mettere in gioco la propria vita (vedi immigrati). Non si tratta, infatti, semplicemente di soddisfazione o di amor proprio; piuttosto è soltanto attraverso il riconoscimento degli altri che l’uomo può costituirsi come persona. Hannah Arendt, a sua volta, parlava di natura spaziale della democrazia. Perché ci sia democrazia è necessario che ci sia uno spazio, un luogo pubblico dove essa possa concretamente esercitarsi. Non si tratta dei diritti universali; quelli sono buoni per i discorsi e la retorica sulla democrazia. Si tratta di esercitare fattivamente la democrazia in un luogo concreto attraverso l’argomentazione di persone diverse che si incontrano, si riconoscono, configgono. Oggi è necessario avviare la ricostruzione di un mondo condiviso (e non il sogno narcisistico di Veltroni) da opporre al mondo virtuale, economicistico, autoritario, vessatorio, consumistico che ci viene proposto. Togliamo ai partiti il monopolio della costruzione del nostro mondo condiviso o almeno aiutiamoli a ricercarlo insieme senza più avere, come cittadini, un ruolo passivo. La costruzione di uno spazio pubblico in città significa esercitare concretamente il ruolo di cittadini critici, attivi, propositivi. E la cittadinanza reale implica l’eguaglianza e il riconoscimento. Come si fa a imporre doveri ad un abitante se non lo si riconosce come cittadino reale? Perché quell’abitante dovrebbe sentirsi portatore anche di doveri se non gli viene riconosciuto il diritto pieno di cittadinanza? E come poter far valere i suoi diritti se egli è invisibile agli altri e alle istituzioni? A Roma si terrà il giorno 28 febbraio una conferenza cittadina, organizzata spontaneamente da cittadini riuniti in gruppi, associazioni, comunità. Può essere l’occasione per far nascere a Roma uno spazio pubblico condiviso dove esercitare concretamente il diritto all’eguaglianza, al confronto, al riconoscimento. I partiti della sinistra dovrebbero una volta tanto stare a guardare e ad apprendere, e non, come è purtroppo nel loro Dna, a tentare di “portare a sé” la conferenza o, peggio, a tentare di strumentalizzarla. Chi ha organizzato la conferenza sappia che si è assunto un compito difficile; non quello di sostituirsi ai partiti della sinistra (se così fosse la conferenza sarebbe morta prima ancora di nascere), non quello (sarebbe ancor più sciagurato) di crearne degli altri, e nemmeno quello di contrastarli, ma piuttosto quello di aprire uno spazio pubblico del confronto tra cittadini liberi, diversi, mossi solo dal desiderio di ritornare a costruire il proprio mondo condiviso".

ENZO SCANDURRA