martedì 17 febbraio 2009

UNA RECENTISSIMA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE (9-2-09) SULLE RESPONSABILITA' PER DANNI DA CATTIVA MANUTENZIONE STRADALE

Desunto dal sito ALTALEX pubblichiamo a disposizione di tutti i cittadini il commmento su una interessante e recentissima sentenza, del 9 febbraio 2009, della Corte di Cassazione (SEZIONE III CIVILE - Sentenza 2 dicembre 2008 - 23 gennaio 2009, n. 1691), a proposito della INSIDIA STRADALE, resa evidente nella CIRCOLAZIONE STRADALE, dalla presenza di buche per mancata manutenzione della rete stradale comunale.

"La Corte di Cassazione segna un ulteriore passo in avanti nel solco, ormai definitivamente tracciato, di progressivo innalzamento del grado di “responsabilizzazione” degli Enti Pubblici per i danni subiti dagli utenti a causa del cattivo stato di manutenzione delle strade.

Con riferimento alle strade urbane, possono considerarsi ormai definitivamente superati i tempi in cui la responsabilità della pubblica amministrazione veniva ricondotta nello schema giuridico desumibile dall’art. 2043 c.c., interpretato alla luce della teoria dell’insidia o trabocchetto quali figure sintomatiche della colpa dell’ente proprietario.

In caso di danno alle cose o alla persona causate da una buca presente sul manto stradale, è destinato a trovare automatica applicazione l’art. 2051 c.c. che, configurando un’ipotesi di responsabilità oggettiva (rectius: a colpa presunta), configura un regime certamente più favorevole alla parte danneggiata.

La sentenza in commento, in primo luogo, puntualizza per l’ennesima volta il presupposto di fatto per l’applicazione anche alle amministrazioni pubblica della disciplina dettata in tema di responsabilità da cose in custodia, rappresentato dalla possibilità concreta per l’ente, avuto riguardo all’estensione della rete stradale di riferimento, di esercitare un continuo ed efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi.

La circostanza che si tratti della rete stradale contenute nella perimetrazione del centro abitato, in particolare, è sintomatica della sussistenza di una possibilità effettiva di sorveglianza e, pertanto, comporta la sicura applicazione dell’art. 2051 c.c. nei confronti del Comune.

In secondo luogo, come anticipato, la Corte di Cassazione compie un ulteriore passo in avanti, occupandosi dell’ipotesi in cui il Comune abbia affidato in appalto a diverse ditte private la manutenzione delle pubbliche vie urbane, dividendo il territorio comunale in settori.

Secondo i Giudici di Piazza Cavour, l’affidamento in appalto della manutenzione delle strade, per segmenti, ad imprese private rappresenta un ulteriore elemento concreto, indicativo dell’effettiva possibilità, per l’Ente Pubblico, di esercitare un controllo continuo ed efficace sulla rete stradale, con la conseguenza che, a fortiori, deve trovare applicazione l’art. 2051 c.c..

La vera portata innovativa della sentenza in esame, tuttavia, si apprezza con riferimento ad un altro principio, affermato dalla Corte di Cassazione.

L’affidamento in appalto della manutenzione stradale ad una o più ditte private non trasferisce l’obbligo di custodia del bene demaniale dal Comune alle imprese appaltatrici; anche in questo caso, permane in capo all’Ente proprietario il dovere di sorveglianza, espressamente posto a suo carico dell’art. 14, C.d.S..

Con riferimento alla manutenzione delle strade, in altri termini, il principio, peraltro sancito dalla stessa Corte di Cassazione (Cass. 7755/07) per cui “l'appaltatore deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall'esecuzione dell'opera”, non può trovare applicazione, atteso che tale principio è destinato ad operare solo se vi sia il trasferimento totale, da parte del committente all’appaltatore, del potere fisico sulla cosa.

Nel caso di una strada pubblica, un simile totale trasferimento non può avere luogo, in quanto il Comune non può spogliarsi del dovere, di fonte pubblicistica, di curare la manutenzione, la gestione e la pulizia delle strade, sancito dal citato art. 14, C.d.S..

In questi termini, l’approdo a cui giunge la Suprema Corte appare del tutto condivisibile.

Alla luce della sentenza in commento, in conclusione, si può ritenere che, nel caso in cui la manutenzione delle strade sia data in appalto a ditte private, l’utente danneggiato da un’insidia stradale possa agire a titolo di responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, o in subordine ex art. 2043 c.c., nei confronti dell’impresa appaltatrice e conservi, altresì, l’azione ex art. 2051 c.c. nei confronti del Comune-proprietario.

Trattandosi di due fonti distinte di responsabilità, nulla vieta che esse concorrano tra loro, dando luogo, così, ad un’obbligazione risarcitoria solidale.

Ricorrendone i presupposti, inoltre, è evidente che residuerà a favore del Comune chiamato a rispondere dei danni subiti dall’utente, la possibilità di agire in rivalsa, ex contractu, nei confronti dell’impresa appaltatrice.

(Altalex, 9 febbraio 2009. Nota di Raffaele Plenteda)"