All'indomani del convegno promosso dal Nostro Sindaco G. ALemanno con le archistar proponiamo a chi non l'abbia già letta una bella intervista di Italo Insolera apparsa su La Repubblica il 13 aprile u.s.
Italo Insolera: "Edilizia e archistar
governano l´italia"
Autore: Francesco Erbani, La Repubblica, 13 aprile 2010
Nell´intervista Insolera racconta il declino della sua disciplina: "Oggi si bada più al singolo progetto che al disegno complessivo. E si costruisce senza regole creando agglomerati di case" .
«L´urbanistica? È ormai figlia dell´architettura. E l´architettura, ridotta a pura forma, assorbe tutto il dibattito culturale. Tutto lo spazio dell´informazione. Diventa il paradiso delle archistar. Si bada più al singolo progetto che non al disegno complessivo. Più al singolo manufatto che non alla città. Più all´individuo che non al collettivo. Occorre invece che l´urbanistica recuperi la sua linfa sociale». Italo Insolera ha ottantun anni, è uno dei padri della disciplina che regola o dovrebbe regolare la città, ma che spesso si limita a descrivere il suo formarsi e il suo divenire, lasciando che tutto lo spazio sia occupato dalle mirabolanti invenzioni di architetti-scultori. Si rigira fra le mani Roma, per esempio.La città e l´urbanista (Donzelli, pagg. 135, euro 25), un libro che raccoglie un gruppo di suoi saggi usciti negli ultimi cinquant´anni su varie riviste, da Il Veltro a Comunità. Lo sfoglia e dice: «Sono riflessioni sulle vicende romane, che poi sono esemplari di come negli ultimi cinquant´anni sono cresciute le città italiane. La storia di questo mezzo secolo è in gran parte il ripetersi degli stessi avvenimenti con una crescente carica polemica che rivela il persistere dei vecchi problemi».
In questo mezzo secolo le nostre città sono peggiorate?
«Dagli anni Ottanta, proprio mentre perdono residenti, le città crescono sprecando terreno e soldi. È saltata ogni forma di pianificazione, per cui si invade la campagna e gli insediamenti che sorgono sono agglomerati di case tirate su a prescindere da tutto, dai servizi, le scuole, i trasporti, il commercio. I beni comuni sono sempre residuali, sono il prodotto occasionale una volta realizzate tutte le parti private, quelle che danno rendita».
Per esempio?
«Per esempio Roma, appunto».
Alla quale lei dedicò nel 1962 uno dei libri fondamentali nell´ideale biblioteca dell´urbanistica italiana, Roma moderna, più volte aggiornato fino al 2002.
«In quel volume raccontavo cent´anni di storia urbana. Ma ora mi accorgo che la stagione delle speculazioni di cui fu protagonista la Società Generale Immobiliare, contro la quale si scagliarono Antonio Cederna e L´Espresso, non è mai finita. Anzi si è intensificata. A guardarle oggi le operazioni che al settimanale diretto da Arrigo Benedetti ispirarono il titolo "Capitale corrotta=nazione infetta" sembrano piccole rispetto alle cosiddette "centralità" o agli altri insediamenti nell´agro romano decisi dal nuovo piano regolatore, che in totale prevede 70 milioni di metri cubi in una città che perde 180 mila residenti. Sa cosa diceva Giulio Carlo Argan nel 1988?»
Che cosa diceva?
«"La storia urbanistica di Roma è tutta e soltanto la storia della rendita fondiaria, dei suoi eccessi speculativi, delle sue convenienze e complicità colpevoli". La scena non è cambiata».
Da che cosa dipende questa espansione senza limiti?
«Dal fatto che non si pianifica più, indipendentemente da chi governa le città. La pianificazione è l´attività specifica dell´urbanistica ed è insieme iniziativa sociale, economica, commerciale, investe tante componenti, non solo quella edilizia. E invece la trasformazione delle città non è affidata né all´urbanistica e neanche all´architettura, ma, appunto, all´edilizia. Però c´è anche un altro aspetto».
Quale?
«Negli anni Cinquanta e Sessanta i partiti, la Dc, il Pci, il Psi, il Pri, avevano idee sull´urbanistica. Ne discutevano al loro interno, organizzavano convegni e litigavano. Ora la politica ha smesso di avere un´opinione in materia urbanistica, lasciando spazio a una burocrazia che ha assunto funzioni esorbitanti e con la quale gli investitori privati, i costruttori, gli immobiliaristi intrattengono rapporti troppo discrezionali.
Albert Einstein diceva nel 1937: "La burocrazia ucciderà la democrazia"».
È una malattia tipicamente italiana, sembra di capire.
«In tutta Europa ci si è mossi in questi decenni e ci si muove tuttora in altro modo. Le grandi trasformazioni delle città sono controllate, in maniera più o meno consistente, dalla mano pubblica. Il criterio prevalente continua a essere l´acquisto da parte delle amministrazioni dei terreni e la cessione ai privati del diritto a costruire. In questo modo urbanistica e architettura possono viaggiare di concerto. E anche le archistar si sottopongono a queste regole. Ma non mancano in Europa le eccezioni negative, basti vedere che orrori si sono compiuti sulle coste spagnole o francesi».
Ma complessivamente l´Italia resta un´eccezione.
«Direi di sì. Prenda il quartiere di Slotermeer, ad Amsterdam, una delle realizzazioni più celebri programmate a partire dalla metà degli anni Trenta del Novecento. Ho sempre pensato che la buona riuscita di un progetto urbanistico la si dovesse giudicare alla terza generazione. Ora che a Slotermeer chi andò ad abitarci è diventato nonno, si può verificare che il quartiere funziona perfettamente, com´era stato urbanisticamente immaginato, dalle strade alle fermate per i tram, dai laghi ai boschi».
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