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Caserme, castelli e spiagge: saldi di Stato per il territorio
Autore: Valentini, Giovanni
Il federalismo demaniale è in realtà una svendita del patrimonio collettivo che favorirà la speculazione edilizia.
Si svende un enorme patrimonio pubblico che appartiene a tutti i cittadini: settentrionali e meridionali, ricchi e poveri, di destra e di sinistra.
Il decreto legislativo sul cosiddetto "federalismo demaniale", varato dal Consiglio dei ministri alla vigilia di Natale e rimesso ora all’esame delle competenti Commissioni parlamentari, prevede il trasferimento dei beni statali a Comuni, Province e Regioni, con la dismissione in massa di edifici pubblici, caserme e altre installazioni militari, terreni, spiagge, fiumi, laghi, torrenti, sorgenti, ghiacciai, acquedotti, porti e aeroporti. E come denuncia il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, una volta approvato definitivamente potrebbe innescare «la più grande speculazione edilizia e immobiliare nella storia della Repubblica».
Sono in tutto sette gli articoli del provvedimento, presentato dal ministro della Semplificazione Normativa, il leghista Roberto Calderoli. Un grimaldello legislativo per forzare la "mano morta" che blocca, come si legge nella relazione introduttiva, "un patrimonio abbandonato e improduttivo". Ma proprio in nome della semplificazione e della valorizzazione, due esigenze entrambe apprezzabili, si rischia in realtà di scardinare una cassaforte che contiene beni collettivi inalienabili: compresi quelli "assoggettati a vincolo storico, artistico e ambientale che non abbiano rilevanza nazionale", come si legge all’articolo 4.
L’opposizione dei Verdi, a cui non possono non aderire gli ambientalisti più avvertiti e sensibili, punta in particolare contro due norme considerate devastanti. La prima (art.5, comma b) stabilisce che la delibera del piano di alienazione e valorizzazione da parte del Consiglio comunale "costituisce variante allo strumento urbanistico generale": in pratica, un meccanismo automatico di modifica dei piani regolatori, al di fuori di qualsiasi logica e programmazione. L’altra norma controversa è quella che semplifica le procedure per l’attribuzione dei beni statali ai fondi immobiliari (art. 6): «Si tratta - commenta Bonelli - di un maxi-regalo alle grandi famiglie dei costruttori che hanno già saccheggiato il territorio italiano, attraverso lo sfruttamento del territorio e la speculazione edilizia».
In attesa di un censimento completo, previsto dallo stesso provvedimento, i dati dell’Agenzia del demanio registrano 30 mila beni in gestione, di cui 20 mila edifici (67%) per 95 milioni di metri cubi e 10 mila terreni (33%) per 150 milioni di metri quadrati. Il demanio militare occupa lo 0,26% del territorio nazionale, pari a 783 chilometri quadrati, prevalentemente in Friuli Venezia Giulia e in Sardegna, dove si trova il poligono di Capo Teulada (72 chilometri quadrati). Seguono, con superfici minori, il Lazio e la Puglia.
Nessuno può negare onestamente che buona parte di questo ingente patrimonio versi in stato di abbandono, affidato all´incuria o comunque alla mancanza di risorse per la sua valorizzazione. Dallo Stato centrale agli enti locali, spesso si gioca allo scaricabarile, nell’incertezza delle competenze e delle responsabilità. Ma il trasferimento in blocco di questi beni ai Comuni, alle Province e alle Regioni, allo scopo dichiarato di fare cassa, minaccia di impoverire alla fine la ricchezza nazionale in funzione di un malinteso federalismo, come se un certo pezzo d’Italia fosse proprietà esclusiva di una determinata comunità.
Chi ha il diritto di stabilire, per esempio, che una spiaggia della Sardegna, della Sicilia o della Puglia appartiene soltanto a quella Regione? Chi ha l’autorità di alienare un bene storico, artistico o ambientale d’interesse locale? E ancora, chi può disporre di infrastrutture come acquedotti, porti e aeroporti, che per loro natura servono aree più ampie ed estese?
Al di là della necessità di rispettare i piani urbanistici, se non altro per evitare l’impatto negativo di varianti automatiche, è auspicabile dunque che il decreto legislativo sul "federalismo demaniale" venga modificato e corretto durante l’iter parlamentare, come reclamano i Verdi, almeno su due punti fondamentali: da una parte, l’esclusione dei beni storici e artistici dall’elenco delle dismissioni; dall’altra, l’introduzione dei vincoli di destinazione e uso per i terreni o gli edifici statali. Non è concepibile cedere un castello o un museo a un soggetto privato, solo perché il bene in questione non è considerato di "rilevanza nazionale". Mentre si può pensare di alienare legittimamente un’area abbandonata o una caserma, purché venga destinata a funzioni sociali: ospedali, centri di assistenza, istituti scolastici, parchi pubblici o impianti sportivi. Altrimenti, più che di semplificazione e valorizzazione, si dovrà parlare - appunto - di svendita e liquidazione.
"Così le città diventano merce"
Autore: Erbani, Francesco
Nell’intervista a Pier Luigi Cervellati la denuncia dei pericoli urbanistici sulle dismissioni annunciate dal decreto “federalista”.
A Pier Luigi Cervellati, urbanista, professore a Venezia, il passaggio dei beni demaniali a Regioni, Province e Comuni, in vista di una loro massiccia alienazione, ricorda la privatizzazione dell’acqua. «Le città sono un bene comune, come l’acqua. Vendere caserme in un centro storico, senza che questo serva alla città stessa, senza che serva a creare spazi pubblici, ma solo a fini speculativi, significa accentuare la trasformazione delle città in merce. Come per l’acqua».
Lei è sicuro che ad avvantaggiarsi siano più i costruttori che i cittadini?
«Certo. Chi investe grandi somme per acquistare questi patrimoni lo fa per guadagnare. E dunque le caserme si trasformeranno in un’occasione di rendita. Senza che su tali delicate operazioni vigili una corretta pianificazione urbanistica, che per legge viene anzi aggirata e resa inservibile».
Quali sono gli effetti sul funzionamento di una città?
«Le caserme che diventano appartamenti aumentano la congestione, modificano il volto di parti essenziali dell’organismo urbano.
Si accentua quel meccanismo perverso che punta a cambiare singole parti di una città, senza considerare gli effetti sull’intero sistema.
Come per il Piano Casa, che ogni Regione si è fatto per conto proprio, anche questo provvedimento sui beni demaniali punta tutto sull’edilizia per riavviare il meccanismo economico, senza considerare il rischio di alimentare una bolla speculativa, come è accaduto in Spagna». giovanni
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